Brasile. Calcio.
Queste due parole fanno venire in mente molte cose: tacco, bicicletta, Fenomeno, O Rei, fantasia, classe, gol, assist, rabona…..
Tutti termini da attacco, follia, meraviglia, libertà.
Però il calcio è anche difesa, non prendere gol, bloccare palloni, impedire che l’avversario ti segni.
Questo è sempre stato il grande difetto del Brasile, almeno fino agli anni 90 del Novecento: il portiere, agli occhi tutti, quando si parlava di Brasile, portava a Gilmar, l’estremo difensore del Brasile di Pelè: bravino, eh, ma era un optional, il numero 1. Poteva anche non esserci, tanto c’erano i fenomeni là davanti.
Solo che quando mancano i fenomeni, o non bastano, la mancanza del portiere diventa un bel problema. Così, spesso, si presentavano portieri brasiliani che erano attaccanti finiti per sbaglio in porta… con i risultati che potete immaginare.
Poi venne Claudio Taffarel, e nacque il portiere brasiliano.
Claudio, capello liscio biondo, sguardo enigmatico, classe 1966, contribuì alla favola del Parma di Nevio Scala, che negli anni 90 , neopromossa dalla serie B, contese scudetti a Juventus e Milan e vinse una Coppa delle Coppe e una Coppa Italia, tra il 1992 e il 1993, prima di trasferirsi per un fugace anno alla Reggiana.
La squadra di Melli, Osio, Minotti, Tino Asprilla: beh, non sarebbe stata quello che è stata senza la tranquilla e rassicurante presenza di questo portiere serio e ligio al sodo, più che al circo da dribbling fine a sè stesso.
Bravo nelle uscite, agile, leader silenzioso in campo e fuori, fece scoprire al mondo il portiere brasiliano, e l’Italia intera, che lo aveva accolto, lo maledì, quel giorno torrido a Pasadena, nel luglio 1994, quando Claudio alzò la Coppa del Mondo, dopo una noiosissima partita finita ai calci di rigore.
Quello non era un Brasile super stellare- l’unico vero talento era Romario, e un talento sregolato tra l’altro- ma aveva finalmente scoperto il ruolo del portiere, e a volte la difesa è il miglior attacco!